Lithium Flower

#yolo

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view post Posted on 4/5/2014, 19:03
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La casa brucia.
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Un anno.
È passato già un anno da quando ho oltrepassato il portale e sono giunto qui.
Suspiria mi ha regalato tanto in questo breve lasso di tempo, i suoi soldati sono stati cortesi con me fin dal principio, mi sono da subito sentito come legato ad ognuno di loro da un filo che solo la morte potrebbe logorare, me neppure lei sarebbe in grado di recidere.
Purtroppo, Suspiria ha anche fatto in modo di strapparmi via cose a cui tenevo, mi ha plasmato come se fossi un mucchio di argilla, e non è stata esattamente cortese nel farlo.
Trovo che quest'isola sia più di un semplice pezzo di terra sospeso in aria, sembra quasi, anzi, essere dotata di una vita propria, un'entità che gioca con coloro che vi abitano come fa una bimba con una casa per le bambole.
Ma ci sono cose che neppure Suspiria è stata in grado di portarmi via: i ricordi.
Memorie di quando ancora credevo che la magia appartenesse solo alla fantasia, di quando ero poco più che una recluta nell'accademia militare, quando ancora San Paro, la mia città natale, ancora non era stata messa a ferro e fuoco dalle bande di criminali impazziti che sono sorte più tardi.
Per questo sono qui, Menestrello, vorrei raccontarle un episodio che mi ha segnato nel profondo, prima che succeda qualcosa che me ne faccia dimenticare.
Si tratta di più di dieci anni fa, quando, appena diplomato, mi sono iscritto all'accademia militare di San Paro per intraprendere la mia carriera di ufficiale di polizia.

L'intera struttura era in fermento.
Dopo mesi d'interminabile attesa, studi, addestramento e preparazione, finalmente per decine e decine di cadetti, compreso me, era arrivato il momento di scendere in strada. Il primo giorno di pattuglia scatenò reazioni diverse in ognuno di noi.
C'era chi, preso dall'ansia, cercava di controllarsi standosene in disparte per non farsi vedere dai compagni di corso, e c'erano quelli che invece non vedevano l'ora e tentavano di prevedere cosa avrebbero effettivamente fatto, e ancora altri che provavano un po' di timore e di insicurezza, avevano paura di commettere qualche stupidaggine.
Io, personalmente, ero elettrizzato all'idea.
Già allora sentivo di non essere tagliato per il lavoro d'ufficio, avevo bisogno di essere attivamente presente nella lotta al crimine, senza intenzione alcuna di starmene nascosto all'ombra di una scrivania a scrivere rapporti su rapporti di operazioni alle quali, magari, neppure avrei preso parte. Certo, da qualche parte anche la paura si era scavata una piccola nicchia nel mio cuore, ma quello era
'il gran giorno', come lo chiamavano molti, da lì in poi sarebbe stata tutta in salita.
A ognuno di noi fu detto di presentarci in aula magna così che potessimo ricevere il nostro incarico, ovvero il percorso che avremmo dovuto seguire e la nostra porzione di città da mantenere sicura, per intenderci.
Quella fu la prima volta che lo vidi.
Era un colosso, quasi due metri di altezza, novanta e rotti chili di muscoli, i capelli tagliati con la classica pettinatura a spazzola, di un colore scuro tendente al grigio, senza alcuna ciocca bianca. Aveva gli occhi che sembravano fatti di vetro, piccoli e verdi, che ti mettevano in soggezione anche quando non ti guardava, anche perché quando lo faceva sembrava quasi che ti scrutasse l'anima.
Il suo nome era Jorgen Bane, ma tutti si limitavano a chiamarlo 'Sturdy', perché, effetivamente, era un nome che gli calzava a pennello.
Jorgen era un uomo sulla cinquantina, che aveva dedicato la sua intera esistenza a questo lavoro, a proteggere coloro che non potevano farlo da soli, e che purtroppo era stato costretto a ritirarsi dalla 'prima linea' dopo un grave incidente che gli rese impossibile l'uso del braccio destro. Ma non si diede per vinto.
Decise di continuare ad aiutare il distretto anche dopo quel giorno, svolgendo svariate attività utili all'intero corpo di polizia come, appunto, il collocamento delle nuove leve.
Ma non si limitava a questo.
Aveva portato a termine innumerevoli operazioni, arrestato individui estremamente pericolosi, era stato onorato di tonnellate di medaglie.
Insomma, era ciò che ogni cadetto aspirava a diventare.
Proprio per questo quando durante i momenti di pausa si metteva a raccontare storie della sua carriera di poliziotto c'era sempre una certa folla che ascoltava, persino i suoi superiori lo rispettavano e tacevano mentre quello parlava.
Persino loro erano affascinati da quell'uomo.
Ma c'era una cosa, in particolare, che incuriosiva tutti noi nei suoi riguardi. Ogni volta che raccontava qualcosa, era solito terminare la sua storia con una frase che ripeteva come fosse un mantra:
"Non sarete mai eroi finché non ne assaggerete il sapore."
Deve credermi quando le dico che nessuno di noi avesse idea di cosa volesse dire con ciò, anzi, eravamo addirittura arrivati al punto di scommettere su chi avesse indovinato, ma seppure molti di noi avanzarono diverse ipotesi, non ci fu anima viva che ebbe il coraggio di andarglielo a chiedere. Eravamo tutti terrorizzati.

Passò un anno, ma nessuno ancora aveva scoperto a cosa si riferisse Jorgen con quella frase, perciò decisi di mettere da parte la paura e chiederglielo io stesso. Era passato un anno, dopotutto, avevo avuto la mia dose di esperienze, pensavo di essere pronto ad 'affrontarlo', ma mi sbagliavo.
Lo trovai nell'aula magna, seduto in prima fila, non c'era nessun altro oltre a lui.
Stringeva in mano una foto di un uomo molto giovane, probabilmente lui stesso nei suoi anni d'oro, e sospirava, guardandola. Mi degnò di uno sguardo solo quando mi sedetti accanto a lui, alzò un sopracciglio come a chiedermi cosa volessi da lui. Mi feci coraggio e parlai.
"È un anno che sono qui. Ho svolto il mio compito senza mai arrendermi, ho impedito a un mucchio di gentaglia di fare i loro comodi e mi sono fatto in quattro per questo posto, esattamente come tutti gli altri.
Ma ancora non riesco a capire che cosa vuoi dire con quella frase, Sturdy."
Jorgen tornò con lo sguardo sulla foto e sospirò una volta ancora. Rispose senza neppure guardarmi.
"Allora, se è vero che pensi di essere pronto, dimmi tu cosa significa, eroe."
Ma vedendo che non avevo la minima idea di come rispondergli, semplicemente si alzò e se ne andò, lasciandomi lì senza una risposta ma con un miliardo di domande per la testa.
La sera successiva mi trovavo in auto, percorrevo il mio percorso, sempre lo stesso da oramai un anno. Era molto tardi, il cielo era nero, senza neppure una stella.
Guardai l'orologio che portavo sul polso, segnava le 11:55, ancora cinque minuti e sarei potuto tornare a casa. Non vedevo l'ora, stanco com'ero.
Mentre guidavo, la luce proiettata dai fari della macchina si poggiò su una figura minuta, al limitare della strada.
Era una bambina dai lunghi capelli biondissimi, piangeva seduta sul marciapiede con le braccia strette intorno ad un pupazzo di pezza che aveva l'aria di essere più vecchio di me. Naturalmente accostai subito, era mio dovere capire perché una ragazzina che dimostrava di avere qualcosa come otto o nove anni se ne stesse da sola in mezzo alla strada a singhiozzare a quell'ora. Così mi avvicinai.
Aveva gli occhi gonfi e le guance rosse, ma appena mi vide il suo viso s'illuminò. Sorrise.
Devo ammettere che in quel momento mi sentivo orgoglioso di me stesso, quella ragazzina doveva aver immaginato il poliziotto-eroe che viene a salvarla quando ha bisogno, e l'immagine non mi dispiaceva così tanto. Si alzò in piedi e si aggrappò alla mia divisa. Sicuramente voleva dirmi qualcosa, ma non riusciva a smettere di piangere.
"Signore, mamma e papà stavano litigando, li sentivo strillare... Mamma non si muove più. Ho paura."
A quelle parole corrugai la fronte e chiamai subito le altre auto di pattuglia vicine, era evidente che qualcosa non andasse, perciò feci sedere la bimba nell'auto, dicendole di non uscire per nessun motivo finché non fossero arrivati gli altri agenti. Mi avvicinai alla prima finestra utile e, con la pistola in pugno, diedi un'occhiata all'interno.
Le luci erano tutte spente, ma grazie a quella poca che filtrava da fuori mi fu possibile distinguere la sagoma di un uomo, seduto e con la testa china verso il pavimento.
Di lì a poco quella giornata si sarebbe trasformata nella peggiore della mia vita, fino ad allora, almeno.
Entrai in casa dalla porta principale, con la pistola d'ordinanza nella destra ed una torcia nella sinistra, e mi diressi subito verso l'uomo. Appena lo vidi gli puntai la torcia contro.
Avrà avuto intorno ai quarant'anni, era calvo ed indossava una canottiera bianca, sudicia di sangue. Ci misi poco ad allarmarmi, lo tenni sotto tiro con l'arma intimandogli di non muovere un muscolo, mentre con l'altra mano andavo alla ricerca dell'interruttore della lampada. Lo trovai quasi immediatamente.
Quando la stanza fu illuminata dalla luce, mi si palesò di fronte agli occhi una scena terribile.
L'uomo stava fissando il cadavere della moglie, steso sul pavimento in un lago di sangue, mentre teneva tra le mani imbrattate di rosso una bottiglia di birra, oramai vuota. Scuoteva la testa e osservava il corpo della consorte.
Lo ammanettai in un attimo, altrettanto velocemente tentai di prestare le prime cure alla donna, che apparentemente era stata colpita alla nuca, da dove il sangue era uscito a fiotti.
Provai qualunque cosa fosse nei miei mezzi, prima di tutto fermai l'emorragia, poi cercai di rianimarla con la RCP, la respirazione cardiopolmonare, ma fu tutto inutile.
Poco dopo arrivarono i rinforzi e una squadra di medici, che però non poterono fare nulla per la vittima, che calcolarono fosse morta da oramai più di due ore. L'uomo, in evidente stato di ubriachezza, confessò di aver sferrato un pugno alla moglie che, perdendo l'equilibrio, andò a sbattere con la nuca contro il tavolo, morendo sul colpo.
Lo accompagnai alla macchina, pronto a portarlo in centrale, e lo feci accomodare dove poco prima avevo fatto sedere la figlia.
La vidi, mentre descrivevo tutto ad un agente incaricato di prendere nota di tutto ciò che fosse necessario a ricostruire la scena. Aveva ancora stretto nelle braccia il pupazzo, ma singhiozzava più di prima e mi fissava con un odio che era quasi palpabile, tanto era forte. Come biasimarla?
In poco tempo le avevo portato via il padre e la madre, era rimasta sola. Ed io ero passato dall'eroe di turno al peggiore supercattivo che lei avesse mai visto.
Decisi che non fosse il caso di andare a parlarle, avrei solo peggiorato le cose.
Portai il padre alla centrale e lo lasciai in custodia di chi si sarebbe occupato di interrogarlo mentre io, carico di dolore e sulla soglia della disperazione, mi buttai nello spogliatoio e mi tolsi la divisa, tornando ad indossare abiti qualsiasi.
Fuori di lì, seduto vicino all'entrata dello spogliatoio, c'era Jorgen.
Quando mi vide scosse la testa e sospirò, come suo solito. "Allora, eroe, mi sai dire com'era il sapore?"
Quella domanda arrivò tagliente come la lama di un rasoio, totalmente inaspettata. Però compresi.
Forse a causa della stanchezza, della tensione o di tutti i pensieri che mi affollavano la testa in quel momento, non me ne sono reso conto prima, ma avevo iniziato a piangere, come quella ragazzina.
Le lacrime mi bagnavano gli occhi, mi rigavano le guance ed avevano un sapore orribile. Sapevano di fallimento, di incertezza, avevano il sapore della tristezza. Un sapore vuoto, assente.
Erano insipide.
Jorgen riprese a parlare subito dopo, per la prima volta in vita mia lo vidi sorridere.
"Ci sono momenti nella vita, Prentiss, in cui per quanto ti sforzi il risultato non cambia. Avresti potuto fare altrimenti? Forse. Sarebbe cambiato qualcosa? No. Quella ragazzina sarebbe comunque rimasta orfana, il padre sarebbe finito in galera e la madre in un cimitero. Puoi solo rallegrarti del fatto che sei arrivato abbastanza in fretta da non far peggiorare le cose. Ora va' a casa e riposati. Domani ti aspetta una giornata altrettanto tosta."
Se ne andò senza aggiungere altro, scomparve in una delle tante stanze dell'edificio, probabilmente avrebbe passato lì la notte. Io mi avviai verso l'uscita.
Iniziò a piovere.
Casa mia non era molto distante, avrei camminato e non avevo un ombrello. Ma non mi interessava.
Presi la strada più lunga, la pioggia mi bagnava dalla testa ai piedi, ma andava bene così.
Perché così le lacrime avrebbero cambiato sapore.


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view post Posted on 19/11/2014, 18:31
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Lunatic Lilium ♫

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Il fulcro della conoscenza, per molti studiosi,
 
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view post Posted on 3/6/2016, 13:00
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Now with 200% more old lady
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